Coronavirus: accesso all’acqua sicura un diritto fondamentale
di Emanuele Bompan
Lavarsi le mani con acqua e sapone per almeno 40 secondi è il mantra che si ripete ovunque per contrastare il coronavirus. Disinfettarsele o lavarsele dopo ogni contatto. Eppure l’accesso all’acqua e ai servizi igienici non è cosa scontata per tutti in queste settimane. Se in Italia non è sempre semplice trovare l’Amuchina, ha fatto notizia la decisione del governo ruandese di installare dei lavandini portatili alle fermate dell’autobus, data la scarsa disponibilità di lavabi pubblici. Una decisione intelligente per cercare di rallentare la diffusione del contagio, ma che racconta come il semplice accesso all’acqua per lavarsi le mani per molti Paesi africani rappresenti ancora una chimera.
In tutto il mondo tre persone su dieci non hanno accesso ad acqua potabile sicura, sei su dieci non hanno accesso a servizi igienico sanitari sicuri, 2,3 miliardi di persone non possono lavarsi le mani in maniera realmente sicura (fonte: Atlante Geopolitico dell’Acqua, Hoepli, 2019). «Il 45% delle strutture sanitarie nei Paesi poveri non ha accesso all’acqua in loco, all’interno della struttura stessa. Durante questo periodo storico è ancora più evidente che gestire in modo sostenibile l’acqua significa poterla avere a disposizione soprattutto nelle situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo», commenta Marirosa Iannelli, presidente di Water Grabbing Observatory.
Che cosa succede da noi
Europa e Usa stanno rivedendo le politiche di accesso all’acqua e le disuguaglianze che inibiscono gli sforzi pubblici e personali per rallentare la diffusione del coronavirus. Ad esempio, in Usa si è deciso in molte città di ripristinare il servizio idrico nelle case in cui era stata disconnessa l’acqua, di sospendere nuovi distacchi delle forniture idriche e di installare stazioni pubbliche di lavaggio delle mani per servire le persone che vivono senza fissa dimora. «Mentre lavoriamo tutti per frenare la diffusione di COVID19, è importante che tutte le proprietà abbiano accesso all’acqua per il lavaggio delle mani, per l’igiene personale e la pulizia», ha scritto Lyda Krewson, sindaco di St. Louis, Missouri, in una lettera al direttore della utility.
In Italia, molti parlamentari della Commissione Ambiente hanno scritto alle società di erogazione acqua per chiedere lo stop immediato dei distacchi. Dopo l’annuncio di varie utilities pubbliche e private, Arera, l’Autorità di regolazione dei servizi energetici e di rete, ha deliberato il blocco dei distacchi per l’acqua e non solo. «Tutte le eventuali procedure di sospensione delle forniture di energia elettrica, gas e acqua per morosità ‒ di famiglie e piccole imprese ‒ sono state rimandate dal 10 marzo scorso fino al 3 aprile 2020», con possibile estensione della data.
«Riteniamo che anche in Italia ci debba essere una moratoria sine die sul distacco delle utenze non pagate, non solo durante questa emergenza ma anche per garantire livelli d’igiene minimi per le fasce più deboli della popolazione che purtroppo aumenteranno con la crisi economica in arrivo», spiega Marirosa Iannelli.
Depuratori e sicurezza
Tanta attenzione anche sui depuratori. Gli impianti di trattamento delle acque reflue che ricevono i liquami dagli ospedali e dai centri di isolamento che trattano i pazienti con coronavirus ‒ e i liquami domestici da aree di grande contaminazione nota ‒ possono avere concentrazioni elevate di virus. Le acque reflue a questo punto devono necessariamente essere trattate per ridurre gli impatti dell’inquinamento sulle vicine acque di ricezione.
In generale, al trattamento delle acque reflue secondarie viene attribuita la rimozione di 1 log (90 percento) di virus, sebbene ampi studi suggeriscano che il livello di rimozione dei virus è altamente variabile, che va da insignificante a maggiore di 2 log (99 percento). A causa di questa variabilità, il processo principale per l’inattivazione dei virus nel trattamento delle acque reflue è la disinfezione chimica (ad es. Clorazione) e/o la luce ultravioletta.
In Italia l’Istituto Superiore della Sanita (ISS) conferma che «allo stato attuale non risultano evidenze di trasmissione della malattia da Sars-Cov-2 a livello dei sistemi fognari e del trattamento delle acque reflue e non si hanno evidenze di infezione, né per il nuovo coronavirus né per altri coronavirus, nel personale esposto professionalmente a reflui, adottando gli ordinari dispositivi di protezione individuale e le correnti norme di sicurezza sui luoghi di lavoro». Anche “l’acqua del rubinetto è assolutamente sicura”, continua il comunicato dell’ISS. Ragion per cui non si spiega la corsa ai fardelli di acqua in bottiglia nei supermercati. Infine, si prescrive di prestare attenzione agli sciacalli che in questi giorni starebbero vendendo illegalmente “filtri da rubinetto per l’acqua anti-Covid19”.
Eppure anche in Italia alcuni impianti di depurazione in particolare al Sud rimangono spenti o sono inefficienti. Secondo la Commissione EU, 237 agglomerati (centri urbani o parti di centri urbani) con oltre 2000 abitanti non dispongono di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico urbane. Le regioni interessate sono 13 (Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana). Solo in Sicilia ci sono il 50% dei casi, commenta il Commissario Straordinario Unico per la Depurazione, il professor Enrico Rolle. Una verifica da fare con urgenza, prima che i casi di coronavirus aumentino esponenzialmente anche al Sud.