Egitto, una sete sempre più grande
di Christian Elia
Dopo quattro giorni di confronto, venerdì 31 gennaio scorso i rappresentanti dei governi di Etiopia, Sudan ed Egitto – con un comunicato congiunto – hanno dichiarato di “aver aperto la strada” per il riempimento del bacino creato dalla Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), la grande diga in fase di completamento in territorio etiopico lungo il corso del Nilo Blu (o Azzurro).
Un accordo importante, sulla carta, che potrebbe scongiurare un conflitto – anche militare – tra gli stati interessati dalla grande opera realizzata da Addis Abeba.
La storia è nota e ormai datata. Un gigante lungo 1870 metri e alto 145 metri. Una diga che, attesa a pieno regime per il 2022, cinque anni dopo il previsto, dovrebbe produrre 6mila megawatt – come cinque centrali nucleari. Una produzione di energia decisamente sovradimensionata per l’Etiopia, ma che secondo i piani di Addis Abeba permetterebbe al paese del Corno d’Africa di vendere energie ai colossi assetati di elettricità, Turchia e Spagna in testa.
La tensione è nata già quando si è iniziato a parlare del progetto: oggi l’Egitto è già in una situazione di grave scarsità idrica. Le Nazioni Unite stabiliscono a mille metri cubi l’anno pro capite una disponibilità idrica sana: un egiziano, oggi, può contare su 570 metri cubi. Secondo le previsioni, nel 2050, l’acqua non basterà più a una popolazione che dovrebbe raggiungere i 115 milioni di individui.
Nel 2011, quando l’Etiopia annunciò il progetto, nel quale l’Italia è coinvolta profondamente con la Salini Impregilo, l’Egitto minacciò di bombardare i cantieri. Ancora alla vigilia del vertice con i paesi confinanti, il regime di al-Sisi tuonava che nessuna opzione era esclusa. Però prima un vertice a Washington il 15 gennaio, poi il meeting di fine gennaio, sembrano aver portato a un accordo sulle quote di prelievo che spettano a ciascun paese.
Perché il Nilo arriva in Egitto dopo che il Nilo Bianco dal Sudan e il Nilo Blu (Azzurro) dall’Etiopia si sono uniti. Questo rende la gestione delle acque transfrontaliera, ma da sempre si discute sulle quote. L’accordo che teneva assieme le rivendicazioni di tutti – al momento – è quello del 1959 tra Sudan ed Egitto. L’Etiopia era esclusa.
Oggi la situazione è cambiata, anche politicamente. L’Egitto, oggi, è molto debole al tavolo delle trattative. Non è arrivato l’agognato appoggio dell’Arabia Saudita e gli Stati Uniti – con i loro aiuti economici – possono soffocare la asfittica economia egiziana in un attimo. L’Egitto, in fondo, è stato consapevole che all’accordo si sarebbe arrivati anche senza il Cairo e ha tentato di salvare il salvabile.
Resta sul tavolo la questione più grande: continuare a impattare su (scarse) risorse idriche per fini di produzione energetica. In Egitto la situazione è molto grave. Più del 90% delle risorse idriche egiziane arriva dal Nilo, sul quale gravano tanti impianti industriali. Il mar Mediterraneo, giorno dopo giorno, rosicchia il Delta del Nilo, nella misura – secondo gli studi più recenti, che nel 2030 prevedono come un terzo del Delta sarà perduto – di un centinaio di metri all’anno. La salinizzazione conseguente, inquina falde e impedisce l’agricoltura. A questo aspetto va aggiunto che il grado di evaporazione del Lago Nasser – costruito artificialmente negli anni ’60 – è aumentato per l’innalzamento delle temperature medie comportando uno spreco costante.
La produzione di energia, con tutto quello che comporta, deve essere ancora una priorità?
Anche per far fronte alle polemiche che in Egitto seguiranno all’accordo, il governo egiziano ha annunciato un piano nazionale per razionalizzare l’acqua e massimizzare l’uso delle risorse disponibili in Egitto fino al 2037 ad un costo di 50 miliardi di dollari, che mira a superare i problemi legati alla carenza d’acqua. Il piano si basa su quattro assi principali: miglioramento della qualità e della qualità dell’acqua, razionalizzazione dell’uso, sviluppo delle risorse idriche e creazione di un ambiente adeguato. Mira a fornire fonti alternative di acqua potabile, attraverso la dissalazione dell’acqua nei governatorati costieri, l’istituzione di stazioni di estrazione delle acque sotterranee e il riutilizzo dell’acqua trattata in alcune piantagioni. Il piano include anche l’introduzione di sistemi di irrigazione moderni e tecnologici e il lavoro attraverso centri di ricerca specializzati per sviluppare colture che consumano meno acqua, riducendo i tempi di crescita delle colture.
Si prevede che questo piano avrà un impatto notevole sul modo in cui l’acqua viene utilizzata in Egitto, soprattutto dal momento che il ministero dell’Irrigazione ha dichiarato lo scorso anno che si è verificato uno stato di emergenza a causa di una riduzione prevista dell’approvvigionamento idrico nel 2019 di circa 5 miliardi di metri cubi rispetto all’anno precedente. Il ministero ha attribuito l’atteso calo della quota del paese delle acque del fiume Nilo alla diminuzione del tasso di precipitazioni nei paesi del bacino del Nilo. I tradizionali metodi di irrigazione egiziani utilizzati nel Delta del Nilo e nella Valle utilizzano grandi quantità di acqua e, inoltre, è difficile convertire l’irrigazione in queste terre in metodi moderni.