Referendum 2011

Giornata Mondiale dell’Acqua: Intervista a Paolo Carsetti, Segretario del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua

di Giorgio Kaldor

 

In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, Water Grabbing Observatory ha intervistato Paolo Carsetti, Segretario del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, ente nato nel 2006 per riunire comitati, organizzazioni sociali, sindacati e associazioni che si battono per l’acqua bene comune. Nel 2011 il Forum ottenne il suo risultato più grande: 26 milioni d’italiani votarono a favore della gestione pubblica del servizio idrico. Tuttavia, nonostante l’enorme partecipazione civica, negli anni l’esito referendario non ha trovato concretizzazione e continua invece ad essere tradito nei fatti, come dimostra il Disegno di Legge sulla Concorrenza attualmente in discussione in Senato.

Ma qual è il legame della battaglia per una gestione pubblica con le acque sotterranee, tema della Giornata Mondiale di oggi 22 marzo? Nel nostro Paese la gestione delle falde acquifere è in capo nell’oltre il 90% dei casi a società di capitali (a totale capitale pubblico, a capitale misto pubblico privato, a capitale totalmente privato), mentre solo il 9% circa sono gestioni in economia, aziende speciali, aziende speciali consortili. “Il tema dell’acqua, sia in Italia che nel Mondo, ha visto pochi passi avanti nella suo riconoscimento a livello politico e giuridico” ricorda Marirosa Iannelli, Presidente di Water Grabbing Observatory “In Italia mancano una legge organica sulle acque e una legge sul clima. Il Mediterraneo, secondo l’ultimo report IPCC, è già hot-spot dei cambiamenti climatici e non ci possiamo permettere di non avere un riferimento giuridico chiaro e preciso alle politiche di adattamento, risorse idriche incluse.”

 

Sono passati undici anni dal referendum Acqua Bene Comune. Cosa è cambiato?
Dallo svolgimento del referendum a oggi ci sono stati due diverse direttrici che hanno portato al disconoscimento dell’esito referendario. Formalmente sono state abrogate le norme oggetto dei quesiti, mentre nella sostanza si è impedito l’esito politico del referendum, ossia passare a una gestione pubblica del servizio idrico integrato. Sono stati introdotti una serie di provvedimenti che erano direttamente tesi a contraddire il voto e quindi a rilanciare – seppur in maniera più o meno esplicita – la privatizzazione dei servizi pubblici locali, servizio idrico compreso. Come? La gestione pubblica è stata via via sempre più ostacolata. Prima c’è stato il taglio degli stanziamenti statali verso gli Enti Locali, a seguito dell’introduzione del Patto di Stabilità interno, che ha di fatto ridotto la possibilità di gestione tramite aziende speciali (e quindi gli enti di diritto pubblico). Poi si sono stimolati i processi di aggregazione tra le aziende, che hanno favorito le grandi società quotate in Borsa Multiservizi.

Nel frattempo voi avevate presentato anche una legge di iniziativa popolare per l’acqua pubblica…
Si, e la legge che derivava da quella legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico è rimasta lettera morta anche dopo il referendum. Il Parlamento di fatto non l’ha discussa e, quando l’ha discussa, l’ha stravolta senza riuscire a portarla all’approvazione definitiva. Negli stessi anni c’è stato un tentativo pesante di rilanciare le privatizzazioni da parte del governo Renzi con modifiche apportate al Testo Unico Ambientale (d. lgs 152/2006). Si è andati nella direzione dell’unicità della gestione all’interno degli ambiti territoriali. E questo è in linea con la tendenza verso la costituzione di grandi aziende anche a carattere regionale. Infine, c’è stato il disegno di legge Madia. Il testo riorganizzava la normativa sui servizi pubblici locali attraverso la predisposizione di un Testo unico che poi (per fortuna diciamo noi!) fu censurato dalla Corte costituzionale. Il blocco fu determinato da una questione procedurale e d’intesa tra Stato e Regioni, ma i contenuti e il merito erano pesantemente nella direzione della privatizzazione.

E oggi cosa succede con l’articolo 6 del Ddl Concorrenza?
Oggi ci troviamo in una situazione direi simile a quella del biennio 2015-2016. Il 4 novembre scorso è stato presentato e approvato dal Consiglio dei ministri un disegno di legge delega sulla concorrenza e il mercato il cui articolo 6 rilancia fortemente processi di privatizzazione, indicando come strada ordinaria e prioritaria l’affidamento al mercato. L’articolo 6 subordina la possibilità di gestione pubblica – quella che viene definita “autoproduzione” – a una serie di limiti e passaggi che rendono molto più complicato e complesso quel tipo di scelta da parte degli enti locali. L’ente locale che sceglie la forma pubblica di gestione di un servizio, se passerà il testo, dovrà giustificare il mancato ricorso al mercato motivando tale decisione all’Autorità per la Concorrenza e il Mercato attraverso una relazione anticipata. In secondo luogo, c’è una norma che guarda esplicitamente allo stimolo dei processi di aggregazione e fusione tra aziende, che si può definire una privatizzazione di fatto mascherata.

Queste nuove norme che impatto avrebbero sulle funzioni degli enti locali?
Favorendo la privatizzazione si svilisce il ruolo fondamentale degli enti locali, che in primis dovrebbe garantire servizi essenziali alla collettività. Lo dice anche la nostra Costituzione. Oggi invece resta solo spazio per la cessione al mercato di questi servizi. Come Forum ci stiamo organizzando per costruire una campagna d’informazione e sensibilizzazione che denunci appunto i contenuti del disegno di legge sulla concorrenza e provi a fare in modo che non venga approvata dal Parlamento. C’è poi un’altra questione che mi preme sottolineare. La riforma riguarda tutto il grande ambito dei servizi pubblici, non solo quelli a cosiddetta rilevanza economica come i servizi a rete (acqua, gas, energia elettrica). Si fa riferimento anche ai servizi che rientrano nel cosiddetto Codice del Terzo Settore; quindi, stessa sorte dovranno subire i cosiddetti servizi sociali.  Noi ci vediamo sostanzialmente un approccio ideologico perché appunto la finalità del disegno di legge è proprio quello di eliminare o cancellare i vincoli e i limiti all’apertura al mercato di questi settori.

L’ultimo report IPCC definisce il Mediterraneo come un hot-spot dei cambiamenti climatici. È necessario implementare misure di adattamento. A che punto siamo?
I dati dimostrano che il mercato non è assolutamente sinonimo di efficienza. Quello che si è visto è che la privatizzazione ha portato a un netto e costante aumento delle tariffe del servizio idrico, che sono quelle che in media sono aumentate di più negli ultimi dieci anni rispetto a tutti i servizi pubblici locali. Contemporaneamente però non si è registrato un conseguente aumento degli investimenti. Un leggero rialzo sì, ma non della stessa misura dell’aumento delle tariffe. Come Forum, andando ad analizzare i bilanci, abbiamo visto che quello che invece è incrementato a dismisura sono gli utili e poi i dividendi agli azionisti. E questo è nella logica del mercato. Se si vende un prodotto è evidente che non ci sarà nessun interesse a veder ridurre i consumi, a maggior ragione in previsione della diminuzione della disponibilità dovuta agli effetti dei cambiamenti climatici e del surriscaldamento globale.
Alcune aziende arrivano a dividersi utili pari a circa l’80-90% e quindi è evidente che poi rimane ben poco per fare gli investimenti. Basti pensare alle perdite delle reti idriche, dato in costante aumento come media nazionale ma anche in quelle grandi aziende multiutility quotate in Borsa che vengono prese come modello di efficienza. Acea Ato 2, ad esempio, è ancora molto vicina alla media nazionale intorno al 42 per cento di acqua dispersa in rete. E allora qualcosa non torna nel fatto di narrare che il mercato è ciò che potrà garantire la soluzione dei problemi atavici della gestione del servizio idrico. Stessa cosa vale per la depurazione delle acque reflue, settore che costa all’Italia decine di milioni di euro all’anno di sanzioni derivanti dalle procedure di infrazione della normativa UE.

La via è quella della ripubblicizzazione?
Abbiamo ormai di fronte un ventennio di gestione di fatto privatistica. Questo modello va cambiato quanto fatto prima. D’altra parte, il ritorno a una gestione pubblica è una tendenza in atto in molti Paesi. Parigi e Berlino hanno deciso di riprendersi la gestione diretta del servizio idrico. Lo stesso sta accadendo a Barcellona e in tante altre capitali in giro per il mondo. Municipalità francesi o Paesi del Sud del mondo, che hanno provato sulla loro pelle e prima di noi i processi di privatizzazione, stanno facendo marcia indietro. Purtroppo, in Italia siamo ancora in una condizione paradossale. Siamo l’unico Paese occidentale in cui c’è stata una grandissima mobilitazione sul tema dell’acqua, con un pronunciamento chiaro da parte di oltre 26 milioni di persone. E, invece di ripubblicizzare, siamo nella condizione di continuare a chiederci come rilanciare le privatizzazioni in questo settore.