La Direttiva Quadro europea in materia di acque punta al raggiungimento, entro il 2027, di un “buono stato ecologico” per tutti i corpi d’acqua del continente. Un obiettivo ambizioso. “Ma gli stati che devono recepirla, inclusi i paesi candidati all’adesione all’UE, se la prendono comoda, o addirittura presentano emendamenti che vanno in direzione opposta. Oggi, perciò, è importante agire soprattutto su scala nazionale e locale”, commenta Eef Silvers di Wetland International.
Questo è particolarmente vero nei Balcani, la nuova mecca europea dei costruttori di dighe. Burocrazia fumosa, alto tasso di corruzione e una gran fretta di entrare nell’Unione europea, le cui norme vengono spesso copiate in maniera superficiale dai governanti, li espongono al rischio speculazione. Tra gli investitori figurano soprattutto banche e società dell’Europa occidentale, in particolare austriache e italiane. I numeri sono da capogiro: oltre 300 nuove centrali previste in Bosnia; addirittura 837 in Serbia. Anche l’assolata Albania ha deciso di snobbare il fotovoltaico e puntare tutto il budget delle rinnovabili sull’oro blu. Poco importa se il più lungo fiume europeo allo stato naturale, la Voiussa, sfocia nell’Adriatico dopo un percorso di 260 chilometri tra scenari mozzafiato, e se nelle remote Alpi Albanesi la vita di intere comunità agricole e pastorali dipende del fiume Cem. “Si tratta di un vero etnocidio” denuncia Martine Wolff, un’antropologa che da oltre dieci anni vive tra i montanari del nord del paese. Dalla Grecia al Montenegro, dalla Bulgaria alla Croazia, lo scenario è lo stesso.
Le mobilitazioni, talvolta, tra mille difficoltà raggiungono vittorie importanti. In Macedonia il parco nazionale Mavrovo, habitat dell’elusiva lince balcanica, è per il momento in salvo, mentre la disubbidienza civile in Serbia gode spesso degli onori della cronaca.
“Nei Balcani avete quello che noi europei occidentali abbiamo perso: un rapporto intimo con il fiume”, dice l’austriaco Ulrich Eichelmann di Riverwatch. Ed è vero: mentre in occidente i corsi d’acqua sono stati progressivamente ridotti a canali ed estromessi dal tessuto urbano, i fiumi di queste regioni svolgono un ruolo importante nell’unirne i popoli. Basti pensare al vecchio ponte sulla Neretva a Mostar, simbolo di convivenza tra fedi diverse, come quello sulla Drina celebrato dal romanziere Ivo Andrić, o al sinuoso Danubio.
Le accese sessioni del River Meeting si concludono con una dichiarazione ufficiale indirizzata a istituzioni europee e governi locali e un grande concerto concerto cui partecipano artisti da tutta la penisola: il bosniaco Damir Imamović, il montenegrino Rambo Amadeus, l’istriana Tamara Obrovac l’albanese Eda Zari. Come recita uno degli slogan degli attivisti, “Rivers unite, dams divide”.
Nel sudest europeo, intanto, le mobilitazioni, proseguono. A Belgrado lo scorso 28 gennaio sono scese in piazza oltre 5000 persone; in Kosovo, a febbraio, un’imponente mobilitazione ha indotto il premier Haradinaj a bloccare la realizzazione di sette centrali sui monti Rugova.
La notizia più emblematica, però, arriva da Kruščica. Lo scorso 14 dicembre è arrivata la tanto attesa sentenza definitiva: i permessi di costruzione sono stati annullati. Il torrente continua a scorrere libero sotto il “Ponte delle donne coraggiose”, su cui, sepolti sotto una spessa coltre di neve, restano appesi striscioni e bandiere. Dopo diciassette mesi, le hrabre žene tornano a casa.