Iraq, morire di libertà

di Christian Elia

La macchina bianca, crivellata di colpi. Una scena che ricorda stragi di mafia. Un commando, a volto coperto, a bordo di motociclette, che blocca la strada e spara. È l’Iraq di oggi e di ogni giorno dal 2003.
Bassora, Iraq meridionale, esterno giorno. In al-Tijari Street, zona meridionale della città.

All’interno di quell’auto c’era Reham Yacoub, 29 anni, una donna in gamba. Con lei altre tre compagne, una di loro è morta. Medico e attivista, Reham è sempre stata in prima linea nel movimento che dal 2018 chiede un futuro per il suo Paese, per la sua gente. Un movimento che, per la prima volta dopo tanti anni, non ragiona per divisioni confessionali, etniche o geografiche.

Un movimento di donne e di uomini iracheni che chiede la fine della violenza e della corruzione, un movimento che scende in piazza nonostante la brutale repressione e che, nonostante il Covid-19, ha continuato a lottare tra arresti, minacce e brutali omicidi.

Pochi giorni prima di Reham era toccato ad altri attivisti, tra cui Tahseen Osama Al-Shahmani.
Lo stesso giorno dell’agguato a Reham, due attivisti Ludia Raymond e Abbas Subhi sono stati attaccati da uomini armati a Bassora e sono rimasti gravemente feriti.

Un clima avvelenato e d’impunità diffusa. Il governo del nuovo premier Mustafa al-Kadhimi ha licenziato il capo della polizia di Bassora, anche per placare le furiose proteste scatenate dall’ondata di efferati omicidi e attacchi terroristici, ma il movimento della società civile è molto scettico rispetto a quanto l’esecutivo abbia davvero voglia di fare per fermare gli assassini di queste donne e di questi uomini che, senza paura, chiedono un Iraq differente.

Tra le tante battaglie di Reham, in questi anni, c’è stata anche quella per l’acqua. Per questo WGO ha voluto ricordarla, perché la sua morte non sia vana, per sostenere chi come Salman Khairallah – che abbiamo raccontato nella nostra serie WaterDefenders – si batte in Iraq per una società equa e unita.

Reham, a Bassora, nel luglio del 2018, era stata una dei volti e delle voci della grande protesta in città per la mancanza di servizi pubblici, per le infrastrutture scadenti, per la raccolta dei rifiuti inadeguata, la carenza di elettricità e la fornitura di acqua contaminata nelle case.
Per quelle manifestazioni, Reham era stata anche arrestata e minacciata.

“Poche ore dopo la protesta, sui social network è partita una campagna denigratoria che ci accusava di lavorare per gli Stati Uniti d’America”, aveva raccontato all’epoca Reham, in un’intervista a The Arab Weekly. “Ho ricevuto dozzine di minacce. Ho ricevuto spesso messaggi da iraniani tramite i miei social media che mi accusano dell’incendio del consolato iraniano in città. Sto attraversando un momento difficile e i miei amici più stretti mi impediscono persino di andare a casa mia per tenermi al sicuro. I miei genitori hanno paura, ma non mi sono mai arresa e continuerò a protestare fino a quando le nostre richieste non saranno soddisfatte.”