Di Water Grabbing Observatory
Foto e Video di Gianluca Cecere
Di Water Grabbing Observatory
Foto e Video di Gianluca Cecere
Osservando la parabola della chimica italiana si colgono alcuni momenti cruciali della storia industriale ed economica del paese: la Grande Guerra segna la raggiunta maturità del comparto; negli anni Venti e Trenta si registrano significativi incrementi della produzione, ancora più marcati nel secondo dopoguerra, allorché l’affermarsi del paradigma del petrolio si traduce nella creazione delle grandi raffinerie sulla costa e nel moltiplicarsi degli impianti petrolchimici. Lo Stato e le grandi imprese, non di rado controllate dalla mano pubblica, emergono come principali protagonisti della storia.
Un rapporto profondo, quello tra Paese e industria chimica, animato da tre generazioni di tecnici, scienziati e capitani d’industria che hanno segnato la storia economica italiana, ma anche il territorio.
Il progetto di Water Grabbing Observatory, coordinato da Christian Elia, nasce proprio da una riflessione su questo tema, che attraverso una mappatura dell’eredità dell’industria chimica in Italia si pone come obiettivo quello di riflettere sul costo che questa storia ha avuto per i territori, sull’impatto che una certa idea di sviluppo – per scelta consapevole o per mancanza di conoscenze – sacrificava la qualità della vita dei cittadini.
L’elemento attorno al quale ruoterà questa indagine non può che essere l’acqua, per la natura di WGO e perché l’acqua è sempre stata la nemesi del sistema produttivo chimico. Una mappatura delle contaminazioni avvenute in questi anni in Italia è un punto di partenza per sostenere e rafforzare sempre di più la cultura dell’acqua pubblica nel paese e non il contrario.
La prima parte di questo lavoro, tra settembre 2020 e gennaio 2021, è stata realizzata da due soci di WGO, il giornalista Christian Elia e il fotografo Gianluca Cecere, in collaborazione con il giornalista Luca Bortoli. Sei inchieste, pubblicate dal quotidiano Domani, sono state il primo passo per una serie di lavori che utilizzeranno gli strumenti dell’inchiesta, del reportage, dell’intervista e del data journalism, alternando i linguaggi del testo, dell’audio del video, della fotografia e dell’illustrazione. La produzione di questi contenuti, affiancata alla segnalazione di lavori di altri, definirà una piattaforma multimediale che – attraverso una mappa cliccabile dell’Italia – terrà assieme tutti i materiali raccolti.
I primi tre casi esaminati sono stati quelli di Trissino, in provincia di Vicenza, di Spinetta Marengo, frazione del comune di Alessandria e quello di Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara.
Il processo Miteni
Tutto è iniziato, a settembre, dall’inizio del processo a carico della Miteni, al tribunale di Vicenza. Per le accuse della Procura della Repubblica, per le dimensioni della contaminazione della falda, si sta configurando un processo storico. Nato negli anni ’60, attraverso vari passaggi di mano, fino alla chiusura del 2018, lo stabilimento della Miteni è accusato di aver sversato per decenni nella falda acquifera che arriva a lambire anche le province di Padova, Venezia e Verona una vera e propria marea nera di contaminanti.
Spinetta Maregno: il futuro è adesso
l caso di Spinetta Marengo è invece quello più attuale. Spinetta Marengo, 7mila abitanti e un polo chimico da mille posti di lavoro, tra indotto e impiegati. Il paese è la fabbrica o la fabbrica è il paese? Un rapporto intenso e controverso nato nel 1905, passato per molte mani (Montedison, Montefluos, Ausimont) e oggi parte della multinazionale belga Solvay. Lavoro, ma anche salute. E un’idea di sviluppo che ha un costo, del quale si continua a discutere, anche dopo la sentenza del dicembre 2019, quando la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado del processo Solvay: per la magistratura si tratta di disastro ambientale colposo. Gli ex dirigenti Giorgio Carimati, Giorgio Canti e Luigi Guarracino condannati a 1 anno e 8 mesi con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione e l’obbligo di risarcire le parti civili e provvedere alla bonifica del sito. La condanna si riferisce a fatti accaduti fino al 2008 per una produzione – quella del cromo esavalente – ormai cessata. E oggi?
Oggi la controversia ruota attorno al C6O4, che la multinazionale belga produce solo in questo stabilimento e della quale detiene il brevetto. Il C6O4 è una miscela multi-componente di diastereoisomeri dell’ammonio di fluoro acetato, in altre parole un Pfas di nuova generazione.
Bussi sul Tirino: aspettando giustizia
Il terzo caso è invece quello della Edison, ex Montedison, di Bussi sul Tirino. Un paesaggio straordinario, alla confluenza dei torrenti Tirino e Pescara. Nel 1901 l’allora Società franco-svizzera di Elettricità ha scelto questo posto per l’abbondanza di acqua ed è nato un sito industriale che ha fatto – nel tempo – di Bussi la «discarica di veleni più grande d’Europa», come fu definita nel 2007, subito dopo che gli agenti del Corpo Forestale individuarono oltre 185mila metri cubi di inquinanti come cloroformio, tetracloruro di carbonio, metalli pesanti.
Da aprile 2020 c’è un responsabile, ma la bonifica è ferma davanti a un bivio: se il principio ‘chi inquina paga’ è sacrosanto, quale è il ruolo dell’amministrazione pubblica? Bonificare, come chiedono i cittadini, e rivalersi poi sull’azienda, o aspettare che sia l’azienda a farlo? E con che strumenti può obbligarla a farlo?