Nilo, acque agitate
di Christian Elia
Il 26 aprile scorso, il governo etiope ha presentato una nuova memoria difensiva sull’annosa questione della costruzione del Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), il mega progetto che punta alla realizzazione della più grande diga in Africa: 1680 chilometri quadrati di foresta nel nord-ovest dell’Etiopia, vicino al confine con il Sudan, saranno sommersi e circa 20mila persone verranno state spostate forzatamente.
Questa imponente opera impatterà sulle acque del Nilo, e il Sudan e l’Egitto hanno sempre tentato di ostacolare il progetto, ridimensionarlo o almeno trarne un accordo per una ripartizione corretta delle acque. Per molti anni, e ancora adesso, si è più volte parlato di potenziale conflitto armato regionale.
L’accordo sembrava raggiunto a febbraio, poi una nuova crisi, poi un nuovo accordo e adesso viene diffuso questo documento delle autorità di Addis Abeba. Nel documento si specifica che “il completamento della diga non solo una questione di sviluppo, ma di sopravvivenza per l’Etiopia.”
Zerihun Abebe – un membro della squadra negoziale etiope – ha confermato alla stampa come non c’è più tempo, secondo l’Etiopia, per estenuanti trattative. “Sei dei nove stati regionali dell’Etiopia si trovano all’interno di quel sistema di bacini fluviali”, ha detto Abebe, “fino a 50 milioni di persone in quelle regioni dipendono direttamente dai bacini del fiume Nilo. Oltre 65 milioni di etiopi non hanno elettricità. Non abbiamo più tempo.”
Esternazioni che sembrano lasciare, oramai, poco spazio alla diplomazia, anche se non è la prima volta che le dichiarazioni degli attori coinvolti sono dure.
Mahmoud Abu Zeid, presidente dell’Arab Water Council, domenica 26 aprile, ha subito commentato la dichiarazione di Addis Abeba: “Le pratiche etiopi e la costruzione di dighe senza consultare i vicini Paesi a valle sono in conflitto con le norme e violano le leggi internazionali. L’Etiopia è ricca di acqua, con 12 fiumi, 22 laghi e acque sotterranee, quasi interamente originari dei suoi territori. L’Egitto, invece, possiede una quota d’acqua di 55 milioni di metri cubi sulla base di storici accordi internazionali, ma l’Etiopia la considera una condivisione ingiusta delle risorse fluviali”, ha spiegato Abu Zeid.
Questo botta e risposta arriva alla fine di una serie di tour internazionali condotti da diplomatici dei due Paesi (Egitto ed Etiopia) nel corso dell’ultimo mese, dopo il fallimento di un accordo sponsorizzato dagli Stati Uniti alla fine di febbraio e l’annuncio di Addis Abeba della sua intenzione di iniziare a riempire il bacino idrico della diga a partire già dal prossimo luglio.
Un accordo finale doveva essere concluso tra Egitto, Etiopia e Sudan riguardo alle regole per riempire e far funzionare la diga, sotto l’egida del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e della Banca mondiale, lo scorso febbraio, ma l’Etiopia si è ritirata prima dell’ultima riunione, rifiutando di firmare e accusando gli Stati Uniti di parzialità a favore dell’Egitto.
Ora queste nuove dichiarazioni polemiche sembrano gettare nuova benzina sul fuoco delle relazioni tra i tre Paesi, non promettendo nulla di positivo per una regione già molto complessa.
Anche perché per l’Egitto la situazione è preoccupante. Forte, per anni, degli accordi del ’59 – che le garantivano una notevole quantità di acque del Nilo – si trova ora con le spalle al muro. L’Egitto teme, infatti, che altri Stati rivieraschi potrebbero vedere il successo dell’Etiopia come un modello da emulare per perseguire i propri progetti a monte delle acque del Nilo, con nuove interruzioni.
Anche senza queste minacce esterne alle risorse idriche dell’Egitto, i fallimenti della governance, l’inquinamento e la scarsa pianificazione agricola contribuiscono tutti a una crisi crescente che il governo egiziano deve affrontare rapidamente.