Permafrost, una catastrofe climatica dimenticata
di Emanuele Bompan
C’è un fatto che sembra sia passato in secondo piano dietro il disastro ambientale di Norilsk, nella Siberia settentrionale. Certo lo stesso incidente che ha visto la rottura di un immenso serbatoio Diesel che ha rilasciato oltre 21mila tonnellate di carburante, contaminando il fiume Ambarnaja che fluisce dopo un lungo peregrinare nella tundra nell’oceano Artico, non ha avuto certo l’attenzione necessaria per una catastrofe di tali dimensioni. Una delle più grandi degli ultimi anni. E negli ambienti artici gli spill petroliferi hanno capacità ridotte di ripristinare gli ambienti naturali.
La notizia preoccupante però sarebbe un’altra: l’incidente sarebbe stato causato da un cedimento dovuto allo scongelamento del permafrost. Un segnale preoccupante dell’accelerare degli impatti del climate change, che in Siberia ha visto preoccupanti aumenti delle temperature medie di oltre 10 °C (basti ricordare i mega-incendi dell’estate passata). Innanzitutto questo potrebbe avere problemi immediati sulla stabilità del territorio. Norilsk è la più grande città del mondo costruita sul permafrost e, da quando il terreno congelato si sta sciogliendo, circa il 60% degli edifici cittadini sono stati danneggiati.
Mentre l’Artico si riscalda più velocemente di qualsiasi regione della Terra, l’attenzione mediatica si è concentrata sulla rapida scomparsa del ghiaccio marino dell’Artico. Ma importanti cambiamenti stanno avvenendo anche a terra e quello più sorprendente è lo scongelamento di vaste aree di permafrost che hanno sostenuto le regioni polari per millenni. Il permafrost è una catastrofe climatica dimenticata.
Gli effetti complessi di questo disgelo per gli scienziati sono ancora tutti da scoprire. Quello che sappiamo è che se l’Artico continua a riscaldarsi rapidamente come prevedono i climatologi, circa 2,5 milioni di miglia quadrate di permafrost ‒ il 40 percento del totale del mondo ‒ potrebbero scomparire entro la fine del secolo, con una serie di feedback potenzialmente disastrosi.
C’è sempre più consenso che la perdita del permafrost potrebbe rilasciare immense quantità di gas serra, tra cui metano, anidride carbonica e protossido di azoto che sono rimasti bloccati nel permafrost per secoli. Imprimendo un’ulteriore accelerata alle mutazioni globali legate all’aumento delle temperature medie globali.
Con il drammatico cambiamento del paesaggio e l’alterazione degli ecosistemi della tundra, numerose comunità in tutte le terre artiche saranno costrette a migrare. Chi per instabilità delle infrastrutture, come in Russia a Norilsk, o chi per mancanza di mezzi di sussistenza, come per gli Inuit in Canada e gli animali dell’Artico. La disintegrazione del ghiaccio sotterraneo che unisce la torba, l’argilla, le rocce, la sabbia e altri minerali inorganici sta ora innescando frane a tassi allarmanti, provocando il cambiamento dei flussi idrici con fiumi che scompaiono e laghi improvvisamente prosciugandosi.
E infine i patogeni. Non è escluso che dai ghiacci possano riemergere virus e batteri dimenticati per centinaia di migliaia di anni. Esponendoci ancora una volta a rischi epidemiologici per la nostra incapacità ad affrontare seriamente la questione ambientale.