Report Unesco

“Rendere visibile l’invisibile”. Il nuovo report ONU sullo stato delle acque sotterranee

di Marco Ranocchiari

 

Le acque sotterranee rappresentano da sole il 99% dell’acqua allo stato liquido presente sulla Terra e dissetano metà della popolazione mondiale. Eppure, sono una risorsa “ancora poco compresa, e di conseguenza sottovalutata, mal gestita e persino abusata”. A sostenerlo è il nuovo Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali, presentato a Dakar, in Senegal, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Acqua che si è tenuta il 22 marzo scorso. Il rapporto di quest’anno, intitolato significativamente “Acque sotterranee. Rendere visibile l’invisibile”, è il nono di una serie di documenti tematici redatti dal Segretariato UNESCO del Programma per la Valutazione delle Risorse Idriche Mondiali (WWAP). Secondo gli autori, questa risorsa rivestirà un ruolo sempre più centrale in un mondo sempre più assetato. Per questo serve una gestione consapevole a livello globale che la protegga da sfruttamento indiscriminato, inquinamento e dai potenziali conflitti per il controllo delle falde condivise tra più territori.

 

Gli utilizzi delle acque sotterranee
Anche se non sempre facilmente estraibili, si legge nel rapporto, le acque sotterranee costituiscono di gran lunga il più importante serbatoio di acqua dolce liquida del nostro pianeta. Rappresentano la risorsa complessivamente più utilizzata a scopo potabile e contribuiscono, in misura variabile ma fondamentale, a quasi tutte le attività umane, dall’agricoltura all’industria ai servizi igienico-sanitari, senza tralasciare i servizi culturali, ricreativi e religiosi connessi a sorgenti e risorgive. Ogni anno vengono prelevati dalle falde oltre 900 chilometri cubi di acqua, il 25% del totale delle acque utilizzate dall’uomo. Di questi, due terzi sono destinati all’agricoltura, un decimo alle industrie, e poco meno di un quarto agli usi domestici. Per buona parte della popolazione mondiale attingere dalle acque sotterranee, soprattutto nelle aree rurali, rappresenta l’unico modo di accedere alle risorse idriche essenziali.
Bastano questi dati a spiegare l’importanza di una risorsa che si tende a dare per scontato. “Negli ultimi anni il report UNESCO è diventato uno strumento fondamentale nel porre l’attenzione sia a livello tecnico-scientifico che politico su tematiche finora poco visibili, e ha contribuito moltissimo alla consapevolezza del ruolo centrale dell’acqua nella lotta ai cambiamenti climatici”, commenta Marirosa Iannelli, presidente di Water Grabbing Observatory.

 

Tra inquinamento e sfruttamento eccessivo
Su scala globale, la principale fonte di inquinamento per gli acquiferi è l’agricoltura, soprattutto per via dei nitrati contenuti nei fertilizzanti, dei pesticidi e degli insetticidi. Ma è nei centri abitati che lo stato delle falde mette più spesso a rischio la popolazione: dove manca un adeguato sistema di fognature, si legge nel rapporto, i pozzi e gli impianti di acqua potabile in condizioni non ottimali (il 30% del totale) rischiano di essere contaminati.
L’altra grave minaccia è l’estrazione eccessiva. L’aumento dei prelievi, stimato intorno all’1% l’anno, si traduce in un impoverimento delle acque sotterranee dell’ordine di 100-200 chilometri cubi ogni anno.  Il sovrasfruttamento sta causando un abbassamento dei livelli di falda particolarmente preoccupante nella regione araba, con effetti potenzialmente devastanti su gruppi vulnerabili non ufficialmente collegati alle reti idriche. Radicalmente diversa la situazione dell’Africa subsahariana dove, nonostante oltre 400 milioni di persone non abbiano accesso ai servizi idrici essenziali, gli acquiferi costituiscono una risorsa ancora poco o male sfruttata. Anche nei Paesi asiatici, che da soli rappresentano circa il 60% del totale mondiale dei prelievi, il rischio di esaurimento delle falde solleva preoccupazioni. In particolar modo in Cina, in diverse parti dell’Asia centrale e meridionale e in alcuni centri urbani dell’Asia sudorientale. In America Latina, invece, le maggiori criticità risiedono nella scarsa capacità degli stati di vigilare sullo sfruttamento intensivo e sulla contaminazione degli acquiferi, mentre in Europa e Nord America le maggiori sfide riguardano l’esposizione a inquinanti agricoli e industriali.

 

Serve una gestione integrata (e comune)
In molti Paesi, scrivono gli autori, le acque di falda vengono considerate come una risorsa privata, mentre le politiche adottate per gestirle si concentrano sul loro utilizzo dopo il prelievo. Gli acquiferi dovrebbero essere invece parte integrante di una prospettiva molto più ampia, sia a livello locale che internazionale, che veda i governi assumere appieno il ruolo di custodi di un bene da considerare comune. Servirebbero strutture giuridiche e istituzionali dotate dell’autorità necessaria a gestire la risorsa, che non dovrebbe essere limitata a livello governativo ma presa in carico anche da utenti e comunità locali. Gli esperti suggeriscono inoltre un approccio integrato che privilegi soluzioni “basate sulla natura”, che forniscano simultaneamente benefici ambientali, sociali ed economici, con particolare attenzione all’uguaglianza di genere e alla riduzione della povertà.

 

Una risorsa in teoria senza confini
Un aspetto particolarmente problematico è rappresentato dagli oltre trecento acquiferi transfrontalieri, cioè condivisi tra più Paesi. In questi casi – soprattutto nell’Africa sub-sahariana e in parte dell’Asia orientale e dell’America centrale – ai consueti fattori di stress per le falde vanno aggiunti quelli politici, causa di conflitti reali e potenziali. Inoltre, nonostante esistano alcune leggi su tali acquiferi, i Paesi che le hanno sottoscritte sono ancora pochi e la consapevolezza del problema è ancora bassa. “Quando pensiamo ai conflitti legati all’acqua pensiamo al controllo delle infrastrutture, alle acque del rubinetto. Ma perché l’acqua arrivi al rubinetto servono le falde acquifere”, commenta Marirosa Iannelli. Questo, continua, “rappresenta un elemento di debolezza in termini di gestione delle acque su cui è necessario lavorare molto. Abbiamo bisogno di una diplomazia dell’acqua per garantire la pace idrica”.

 

Le falde e l’adattamento ai cambiamenti climatici
Ci sono ancora poche certezze sull’effetto complessivo dei cambiamenti climatici sulle acque sotterranee. Un aspetto particolarmente preoccupante è la maggiore facilità con cui, durante le sempre più frequenti piogge estreme, patogeni e altri inquinanti penetrano nelle falde acquifere. L’innalzamento del livello del mare, intanto, sta già portando all’intrusione di acque salate nelle falde delle aree costiere. La minaccia maggiore risiede però nell’aumento dei prelievi, che a causa dell’innalzamento delle temperature è destinato ad intensificarsi.
Le falde, tuttavia, possono rivelarsi determinanti per diversificare le fonti di approvvigionamento. Offrono grandi capacità di stoccaggio nei periodi di siccità, che potrebbe essere attuato anche artificialmente attraverso la ricarica gestita degli acquiferi (MAR), una pratica in forte sviluppo e che, secondo gli esperti, potrebbe fornire un aiuto essenziale contro la scarsità idrica in molte regioni. Gli acquiferi profondi sono anche utili alla riduzione delle emissioni, sia perché alla base della produzione di energia geotermica sia in quanto potenziali serbatoi per il sequestro della CO2.
Le acque sotterranee, concludono gli autori, possono quindi fornire un aiuto prezioso per sconfiggere la scarsità idrica. A patto che diventino finalmente visibili.

 

Qui il link al report completo