Sete in Cisgiordania

di Christian Elia – foto di Gianluca Cecere

Il villaggio palestinese di Bardala, nella valle del Giordano, è noto alle cronache degli storici fin dal 1500 AC. Ed è sempre stato citato come una delle zone con le più antiche fonti d’acqua della Cisgiordania settentrionale. Nel 1882, un documento del Palestine Exploration Fund’s Survey of Western Palestine, lo descrive come una sorta di oasi per pastori e coltivatori, proprio grazie alle sue fonti.

Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, Bardala – che si trova nel governatorato di Tubas – venne occupato dalle truppe israeliane e, da allora, le fonti di Bardala sono connesse alla rete idrica d’Israele.

Il 6 marzo scorso, l’esercito israeliano e l’amministrazione civile hanno tagliato l’approvvigionamento idrico a circa 2mila dunam (1 dunam: 1000 metri quadri) di terreni agricoli palestinesi, dai quali dipendono le vite di circa il 60% della comunità, più o meno 2600 persone.

Per le autorità israeliane, l’acqua veniva prelevata in modo illegale per i campi agricoli, per Mutaz Bishrat, un funzionario palestinese che monitora le risorse idriche della Valle del Giordano, è impossibile, in quanto le acqua provengono dal versante delle colline attorno al villaggio.

La Valle del Giordano occupa un terzo dei Territori Occupati in Cisgiordania e l’88 % delle sue terre è dichiara ‘Area C’ da Israele, come dopo gli Accordi di Oslo degli anni Novanta di indentifica la zona sotto controllo militare israeliano. I villaggi come Bardala, sono circondati da oltre trenta insediamenti illegali di coloni israeliani, protetti da check-point e con strade dedicate per connetterli che i palestinesi non possono percorrere.

L’acqua è, da sempre, un tema chiave del conflitto e il dramma degli ultimi cinque anni di siccità ha reso ancora più scarsa questa risorsa fondamentale. Il livello del Lago di Tiberiade, del quale il fiume Giordano è emissario, ha visto la sua superficie diminuire di 100 metri avvicinandosi alla soglia della “linea nera”, cioè quella in cui l’acqua smette di essere considerata dolce e diventa salata. Il Giordano si è ridotto e, al tempo stesso, si è riempito di scarichi di fogna e rifiuti agricoli. Il 95% della sua portata viene utilizzato per l’agricoltura, che è l’unica fonte di sostentamento per la comunità palestinese e che paga il drenaggio costante degli insediamenti illegali.

Il governo israeliano, da anni, investe miliardi di dollari in un programma di desalinizzazione tra i più avvenieristici al mondo, ma potrebbe non bastare e, in mancanza di un accordo internazionale attorno alla spartizione delle risorse idriche che coinvolga anche la comunità palestinese e i paesi confinanti, la situazione potrà solo che peggiorare.